venerdì 24 gennaio 2014

De Magica Arte Liber Zeta (Tantra Egittum Praticae)


De Magica Arte Liber Zeta ( Tantra Egittum Praticae)

Essere Vuol dire essere percepiti, pertanto conoscere se stessi è possibile solo attraverso gli occhi degli Altri. .^. Il dio Krishna da piccolo al ritorno dal gioco si imbatté nella madre che gli chiesa se giocando avesse mangiato del fango. Il piccolo Krishna scosse il capo negando. La mamma incredula chiese allora al piccolo Krishna di aprire la bocca per controllare. Il dio bambino aprì la bocca. Sapete cosa vide la mamma? L’universo Intero. .^. A^A  M.B.
                                                        
In questo Scritto cercheremo di risalire alle origine storiche di quelle pratiche che sono la base della Magia operativa definita sessuale. Come vedremo anche nel sistema Operativo dell’Antico Egitto erano conosciute ed usate pratiche tantriche, ed è proprio su questa parentesi storica dimenticata dai più, che vogliamo fissare il tema centrale di questo Nostro capitolo del De Magica Arte Liber Zeta  ( Tantra Egittum Praticae). Nella prossima pubblicazione cercheremo di concludere come preannunciato all’inizio di quest’opera penetrando nell’operatività pratica della magia sessuale, al termine del quale dedicheremo qualche parola all’utilizzo dei mantra.

Alcuni Operatori perspicaci hanno osservato che il tantrismo è penetrato in Occidente dopo la seconda guerra mondiale (1940-1945) e si diffonde soprattutto con una sorta di propagazione bocca orecchio piuttosto che non attraverso i manuali, generalmente privi di valore pratico. Se non esiste una scuola nella stretta eccezione del termine è pur vero che si può legittimamente parlare di un movimento tantrici che ha presa su tutti gli ambienti dinamici.

La dottrina e la pratica del tantrismo si sono attualmente diffuse nelle capitali occidentali, soprattutto a Parigi, sotto il nome di induismo. Sarà tuttavia utile precisare che il tantrismo, il cui fondamento è Naturale e quindi Universale, è esistito in vari luoghi con altri nomi. Quanto alla sua Arcana chiave di Volta, della sua metafisica e psicologia si ritrova in molte religioni antiche.

Il tantrismo non è trinitario si richiama alla dualità, ma non al dualismo; come già il catarismo, laddove invece, i due principi fondamentali si trovano in una posizione di lotta irriducibile. La qualità tantrica è coppia e perciò si inscrive in Una Unità: dio e dea, assoluto e manifestato, immobilità e dinamismo. Il secondo polo emana dal primo come l’Eva biblica emana dall’Adamo e vi ritorna. In termini poetici, esso oppone armonicamente l’immutabile Mascolino (il Dio) all’Eterno Femminino (il suo dinamismo creatore e distruttore, perennemente mutante).

Attualmente, il tantrismo non ha più templi o monasteri se non in Tibet e in India, Secondo i Saggi del Nostro Ordine, il Nord dell’India avrebbe trasmesso al Tibet l’arte del Tantra, contemporaneamente al buddhismo, verso il VI secolo della Nostra era. Quindi, nel corso del XII secolo, passò in Mongolia, penetrò nella regione dell’Amur, nella Siberia orientale ed infine in Manciuria. L’archeologia conferma l’originalità del tantrismo indiano. Gli scavi effettuati nella Valle dell’Indo, che hanno portato alla Luce le città di Harappà e di Mohendjo Daro, contemporanee di Sumer, la più antica civiltà conosciuta in Mesopotamia (IV-V millennio), hanno ampiamente dimostrato che l’India del Nord celebrava i culti della dualità Shiva-Shakti.  Non si trova invece traccia del posteriore Trimurti brahmanica, o triplice principio maschile.
                                                                        
La Trimurti sembra essere il risultato di una sintesi abbastanza recente, destinata ad armonizzare gradualmente l’antica religione autoctona con quella dei conquistatori Aria o Ariani. Questi ultimi vi esportarono il Sanscrito, scrittura-supporto della loro metafisica. Considerare Shiva in Ordine alla qualità tantrica o in Ordine alla Trimurti, non comporta un alteramento di Natura se si considera che i tre principi della tri-unità erano inseparabili. Shiva Dio è a un tempo l’assoluto e il protettore di ciò che è spiritualmente vivo, pur nel rispetto della sua funzione, che è quella di distruttore. E’ il Diamante-Folgore che discende dal Cosmo per tuffarsi nelle tenebre demoniache e folgorale. Nel tantrismo, Shiva distruttore di Demoni è Femminile.

Nella Valle dell’Indo, sulle tavolette di ceramica vecchie di cinquemila anni, l’arte aveva umanizzato Shiva in un asceta assiso nella postura del Loto, dello Yoga classico. Tiene gli occhi semi chiusi per l’estasi e lo sguardo invertito si concentra sulla ghiandola Pineale, il Terzo Occhio Frontale è ben aperto sull’Infinito, dal quale si sprigionerà il misterioso raggio che disintegra i demoni. E’ Femminile in Tibet, dove riveste le forme della Dea Tara. Il carattere intercambiabile del Dio Unico che può invertire i poli sessuali, appartiene a una civiltà che non conobbe la guerra tra i sessi. Considerato nell’aspetto maschile, Shiva permane immerso nell’Oceano Cosmico, è assente, immobile, celeste, non manifestato; mentre quando viene femminizzato, è dinamico e Cosmo-Tellurico e allora danza la Vita e la Morte. Di solito, le sue immagini integrano le due Nature in una figura dallo sguardo fisso, che danza come una baiadera nel mozzo di una Ruota infuocata.

In India un uso bi millenario ha stravolto il senso del termine tantrismo. Originariamente un tantra era un trattato religioso, concepito sotto forma di dialogo tra Dio e Dea. Per estensione, il termine è stato applicato ai testi dialogati. Gli interlocutori sono un maestro e un discepolo, o un lama e un anima in via di trasmigrazione, è il caso del celebre Bardo Thodol profanamente conosciuto come il Libro Tbetano dei Morti. Un Lama veggente esorta l’anima di un trapassato per illuminarlo, da una parte, sul suo nuovo stato surreale di esistenza e sulle visioni d’oltretomba e da altra parte nel tentativo di liberarlo dal panico che queste visioni provocano in lui. Il Sacerdote fa appello al mentale del morto; poiché il nostro mentale può funzionare al di fuori del nostro corpo e la sperimentazione su falsi morti in catalessi lo ha dimostrato da oltre un secolo. Quando il defunto li comprenderà, questi fantasmi scompariranno; essi sono una proiezione del defunto, delle sue passioni non estinte malgrado la morte, e del suo Karma (le sue opere). Il lama lo aiuterà guidandolo nel labirinto surreale e soggettivo che il morto deve distruggere. Lo aiuterà, soprattutto a liberarsi dalla ruota di questo mondo intermedio che i Catari chiamavano il mondo della Mistura: mistura dell’essere e del non essere. Così potrà passare direttamente nelle sfere spiritualizzate, invocando le deità misericordiose per sfuggire alle reincarnazioni

Anche qui si rivela la parentela dottrinale tra il lamaismo tibetano, l’induismo e il catarismo languedochiano. Si deve ai Catari la trasmissione di questa dottrina lungo il canale del manicheismo iraniano e dei bogomili bulgari che erano andati a predicare in Linguadoca negli anni 1150-1180. Come gli yogin cui somigliavano i loro asceti credevano alla trasmigrazione delle anime e al geocentrismo che ci tiene attaccati al mondo e ci porta a subire la catena delle rinascite.

Il tantrismo, che si innesta su due religioni, da una parte il buddismo tibetano e mongolo e dall’altra il brahamanesimo, sviluppò due letterature e numerosi trattati. Nel buddismo tibetano e mongolo, il dialogo pedagogico è assunto da una coppia di deità buddhiche: nel brahamanesimo, da Shiva e dalla Shakti.

I tantra induisti non sono sempre redatti in sanscrito. Gli Aria hanno sempre diffidato del tantrismo a causa dei poteri paranormali che questo yoga era suscettibile di conifere, anche ove occorresse agli autoctoni che avevano vinto. Il tantrismo, molto più solidamente insediato nel sud divenne il fulcro di resistenza politica e sociologica. Si oppone all’influenza ariana e mongola. Questa dottrina se non è femminista promuove comunque la donna al rango di uguale all’uomo. Mentre, per converso, l’India degli Aria e dei mongoli era patriarcale. La dottrina di Mohendjo Daro e di Harappa non conobbe il dualismo sessuale, né la dominazione di un sesso sull’altro; vi regnava armonia tra l’uomo e la donna, come nell’Egitto faraonico e in Gallia.
                                                                 
I tantra più autentici hanno quindi forti probabilità di appartenere a una letteratura indiana non sanscrita. Alcuni tantra appartengono alla letteratura orale, alla quale conviene annettere le suggestive leggende di Shiva, il cui interesse pedagogico si può comparare a quello dei nostri racconti di fate, riflessi delle iniziazioni druidiche e preistoriche.

La dualità, che trae origine nella coppia divina, si imprime quindi nel tantra, prima di esprimersi nella coppia umana dei tantrika. L’uomo e la sua sposa o compagna vivranno il mito di Shiva e della Shakti.

I tantra trattano del cosmo, dei centri che irraggiano il divino (il paradiso), dell’Astrologia, delle genesi e delle apocalissi, dello spirito dell’anima e del corpo; della magia e dei chakram: in due parole, di teosofia e di occultismo. Questa stratificazione non comporta ne segue un piano pratico o una formula. Essa si limita a modellare la mentalità e l’affettività mistica del tantrika. Il passaggio allo yoga diretto dipenderà dalle circostanze, ma anche dal dharma (vocazione) e dalle qualificazioni che l’interessato porterà nell’inconscio.

Lo yoga sessuale può essere uno yoga casto, uno dei tanti paradossi del tantrismo. Vi sono tantrika che fanno distinzione tra Via Secca (casta) e Via Umida (non casta) parafrasando il linguaggio dell’alchimia. Il che da corpo alla graduazione esistente tra sessualità (fenomeno sanguigno e ghiandolare) ed erotismo (fenomeno nervoso e psichico che interviene anche in carenza di eccitazione sessuale). I trovatori della Linguadoca e di Provenza hanno praticato uno yoga sessuale casto che approfondiremo più avanti.

L’esempio di RamaKrishna, il santo indiano del XIX secolo, dimostra senza alcun dubbio, come il tantrismo, la dottrina del risveglio spirituale, deve essere vissuta piuttosto che speculata. Nato in una famiglia povera del Bengala, appartenente alla casta sacerdotale RamaKrishna, modesto sacerdote ignorò per tutta la Vita il sanscrito e l’inglese, proprio come il curato d’Ars non conosceva il latino, anche se nel clima sociologico della casta dei brahmani si formò l’intelletto ed il cuore e vi sentì leggere, recitare e commentare i tantra.

Un giorno la dea Kalì gli inviò la sua ancella, nelle vesti di una yoghin iniziatrice. Simili donne sono oggi molto rare. Fino a quel momento RamaKrishna aveva amato solo l’apparenza della dea e non la sua essenza; la dea gli appariva come l’ideale femminile, una Maya intessuta di sogni. Ma allora la dea gli si rivelò bruscamente, come sovrana detentrice dell’energia divina (cosmica). L’iniziatrice risvegliò RamaKrishna al tantrismo sessuale, castamente; la sua sola presenza bastò a far rifluire il flusso erotico del discepolo fino a vivificarne i chakram, fino a sviluppare in lui la donna surreale, immagine della dea che gli avrebbe sottratto la forza vitale. Da quel momento, RamaKrishna venne posseduto dalla dea.

Dissociare il tantrismo dal contesto sanscrito non è cosa agevole. Incamerandolo, il sanscrito lo ha immerso nella sua straripante terminologia, nella foresta degli dei induisti. Quando era pratica vissuta era semplice, sana e naturale. Ma nel complicarla sul piano mentale, i teologi l’hanno degenerata; oggi in india è un culto ai margini, malvisto perché apparentato a una sorta di fakirismo sessuale. Non si conoscono europei che abbiano ricevuto in India un educazione tantrica, salvo per ciò che ne concerne la dottrina, contenuta nei  tantra. Questo fatto assume un valore simbolico,  come per una sorta di rivalsa, gli Stati Uniti e la Gra Bretagna conoscono oggi un fakirismo tantrico che dei presunti maestri indiani immigrati hanno diffuso tra elementi asociali. Questo movimento che avvilisce la donna non riposa sulla mistica della Dea. Ricette elementari vi sostituiscono il Vero Yoga, gli asociali sono incapaci di concentrazione prolungata e i ritmi afro cubani li hanno nevrotizzati completamente.

Ma il merito del tantrismo indiano decadente o meno, sta soprattutto nel fatto della sua vitalità, confermata dagli omologhi tibetano, mongolo cinese e giapponese. Al pari del greco, il sanscrito ha recuperato termini di altre lingue che adattava foneticamente; ad esempio il noto termine Kundalini, parola-chiave del tantrismo magico, al cui dedichiamo come promesso il capitolo finale di questo De Magica Arte, non è sanscrita e si apparenta all’amerindo anaconda.

Uno studioso di lingue sacre comparate, Madame Castex-Fourcade, propende per l’origine elamita di alcuni termini dello yoga. Come gli Inca avevano recuperato l’esperienza dei loro predecessori  gli Chimu, altrettanto fecero gli Aria con quella degli Elamiti. Adesso cominciamo a saperne di più e possiamo cominciare a delineare una sorta di archeologia del tantrismo. Etnicamente erano apparentati con i sumeri di Mesopotamia, ne furono scacciati e la loro peregrinazione si concluse a Susa in Iran, nel VII secolo. Malgrado il genocidio intrapreso dagli assiri, le loro elite sacerdotali riuscirono a riparare in India. Esse detenevano delle sacre scritture pre diluviane e probabilmente si stanziarono nel Caucaso durante il diluvio biblico. Dopo il cataclisma, il loro pensiero spirituale penetrò in Mesopotamia e in Iran.
                                                                        
E’ stato tema di acceso dibattito nella Nostra Confraternita e tra Noi ed altre scuole iniziatiche all’interno del Grande Oriente Ermetico dei Figli di Seth, se vi fosse stata o meno una forte matrice tantrica alla Radice dell’Alta magia Egizia e del sistema iniziatico dei Grandi Misteri. E’ dall’Egitto che Noi abbiamo ricevuto, personalmente, il risveglio al tantrismo: e non siano andati in India. Durante l’esperienza della Loggia Ammonea Osiridea Super Coperta "Kephri"operante in Roma ad inizio secolo, i nostri Arcani F.^. avevano iniziato a codificare attraverso il segno e il disegno, la coreografia Indiana ed Egizia all’interno del sistema iniziatico Osirideo e Tantrico. Non si erano accontentati dei disegni egizi forniti dall’archeologia e neanche dei carteggi in loro possesso appartenuti ai primi Jerophanti giunti in Roma dalla terra di Khem secoli prima, ma avevano stabilito in tutto il mondo una sorta di fraternità che li portò, attraverso i mari del Sud fino a Tahiti. Ai loro occhi, l’Egitto e l’India di razza bruna si appartenevano proprio in Ordine a questo emisfero sud; ottica sulla quale confluiscono i pareri concordi degli egittologi russi. I nostri F.^. avevano annotato alcune parole tahitiane parenti di certe parole egizie.

Una civiltà sconosciuta esplosa nelle isole accese decine di millenni fa, il genio delle razze color del rame, irraggi antesi poi verso l’America, l’India, l’Africa Orientale ed il Punt Egizio. Forse il culto di Shiva nacque nell’emisfero Sud.

Per tornare nuovamente all’etimologia del termine tantrismo, si può rivelare la sua parentela con il nome dell’antica città Egizia di Tentyris, il maggior centro tantrico mediterraneo, pur collegato a una precedente civiltà iniziatrice nell’oceano Indiano o nei mari del Sud. I tantrismi indiano ed Egizio quindi sarebbero quindi fioriti sullo stesso tronco. Gli egizi votavano un culto alla terra ancestrale del sud est, il paese di Punt, arcipelago enigmatico, frammento di un insieme continentale dislocato che continuava fino all’Insulindia.

L’antica Tentyris sorgeva nell’Alto Egitto. Il Culto di Hathor,( letteralmente Hat-Hor la dimora di Horus) si era impiantato prima di Menes le leggende locali facevano ancora allusione ad un origine sud orientale. Hathor era nata nel paese di Punt. In altri termini la forza cosmica che personificava era stata captata in seno a questo arcipelago scomparso o presso le sorgenti del Nilo o in Somalia. Esso ha dovuto essere una testa di ponte per l’India. Una civiltà di razza color del rame, di tipo indiano, vi è forse vissuta molto prima di  Menes e vi avrebbe generato l’Egitto. Al suo declino questi popoli discesero il Nilo, tuttavia prima di questo Egitto “indiano”, dovette esistere un Egitto berbero o un Egitto di tipo Sumero, a pelle chiara. Il paese di Punt costituì l’irraggiungibile paese degli spettri, cioè dei dopi degli antenati. Per tutto il periodo storico, i faraoni cercarono di ritrovare il paese di Punt.

La patria Hathor lascia intravedere un denominatore comune tra le culture egizia e indiana. Bisogna riconoscere che il mito di Hathor chiarisce meglio che non i tantra, la nozione di Shakti , energia divina “cuore del cielo” da non confondere come fa la maggior parte degli egittologi, con il sole astronomico Ra, che altro non è che il Sole zodiacale. Come per i messicani, la religione astrosofica si è espressa in una precisa concatenazione di immagini simboliche che si ripercuotono nel corpo umano; in primo luogo vi era Ammon, “sole supremo” cuore astratto del cosmo, non localizzabile.

Ammon è quindi il Dio monoteista assoluto; le grandi entità non esistono che in quanto egli esiste. Un altro testo insiste su questa nozione fondamentale: “Tu sei l’unico che ha fatto tutto ciò che esiste, sei l’Uno che rimane l’Unico che ha fatto gli esseri”.

Akhenaton, presunto inventore del monoteismo Egizio, non farà che parafrasare gli inni ad Ammon quando dirà del suo dio solare Aton: “Tu non cessi di trarre milioni di forme da te stesso, permanendo nella tua unità”.  Il suo Sole era il sole Astronomico Aton, globo che ci illumina, che distribuisce la vitalità tra le forme esistenti in terra ma che non “trae alcuna forma da se stesso”.

I tibetani e i Chimu, popoli delle montagne avevano personificato il cuore del cielo sotto il segno zodiacale del Leone (Sfinge).  Sarà opportuno ricordare che le altissime montagne sono delle frontiere terra cosmo, punti di contatto del globo-spazio. Se alcuni culti felini sono stati presenti in queste due religioni delle montagne è che una forza cosmica, trasmessa dal Leone, vi provocò dei fenomeni ben palesi. Le leggende dell’Himalaya descrivono enigmatiche danzatrici celesti, le Daikini che gravitano intorno alle cime, provocando le tempeste, le valanghe e le cadute degli alpinisti.

Hathor, questa “terribile” dea ricorda una Daikini che l’iconografia tibetana rappresenta come una donna angelicata, portante una maschera di leonessa. Maschera che qui assume valore astrologico: le danzatrici celesti sono energie cosmiche trasformate in entità pensanti collegate alla costellazione del Leone;  in merito rimandiamo al Nostro De Magica Arte Liber Beta (Magnetisque Corpus Magi) Parte I e Parte II;  a proposito la simbologia archetipica legata alla precessione degli equinozi.

Dopo Ammon e Ammon-Ra veniva Ra, cuore concentrico inferiore successivo, che si era materializzato nel concetto di Aton , globo o disco solare. Siamo passati dall’assoluto all’universo multidimensionale per arrivare al nostro universo solare tridimensionale. Questa scala di cuori concentrici si rifletterebbe sul cuore umano attraverso il chakra del cuore. Egizi e messicani giunsero a stabilire un rapporto di ordine psico-biologico tra il cuore del cielo e il cuore dell’uomo. Nel periodo della decadenza messicana i sacerdoti strappavano il cuore delle vittime umano e lo offrivano al cielo.
                                                                        
                                                                 
Il mito di Hathor è quindi fenomeno di natura metafisica e astrologica. La dea si identificava con un raggio cosmico dell’assoluto sprigionatosi dalla fronte di Ammon-Ra, raccolto dalla costellazione del Leone. In questo primo tempo riveste il volto terrifico di Sekmet, dea portante maschera di leonessa. Sekmet è la dea del deserto orientale di Nubia: “i suoi occhi gettano fiamme, il suo respiro brucia, è assetata di sangue, dicono i testi; la sua interferenza negli affari umani non apporta che flagelli. L’allegoria sta a significare che, sotto la sua forma cosmica primordiale, il raggio divino non può essere sopportato dall’umanità. Se accelera il processo psicologico e nel senso della vita, ma anche nel senso della morte. L’ambivalenza è totale, quantomeno in apparenza. Il raggio biologico che si sprigiona dal cosmo sublimerà la cellula sana ma cancerizzerà la cellula degenerata. 

Dea della guerra, Sekmet presiede alla vitalità sanguigna assorbe alla stregua divina vampira la quintessenza del sangue bevuto; dea del destino e protettrice della Tradizione, ella provoca impoverendone il sangue la degenerazione dei popoli che hanno privilegiato la sovversione. Di fatto l’Egitto vide degenerare intorno a sé molteplici nazioni aggressive mentre esso solcava i millenni senza alcun declino biologico, caso unico e raro negli annali umani.

Ma Sekmet, madre terribile, è tuttavia la grande datrice di Vita e a questo titolo, regnò sulla grande confraternita dei sacerdoti guaritori di Menfi. Rappresentava la loro banca del sangue. Questi medici paralleli curavano il malato attraverso l’imposizione delle mani; durante le manipolazioni trasmettevano il misterioso fluido “Sa”, sangue fluido , dono della dea che consentiva al malato di guarire. In un secondo stadio, la sanguinaria Sekmet, sotto l’influenza di Venere, diveniva una forza erotizzante che si integrava all’aither.

Gli egizi chiamano  dio Shu lo stato vibratorio intermedio tra spirito e materia. Gli egittologi lo hanno confuso con l’aria. Su un disegno egizio si vede Shu separante il dio Terra dalla dea Cielo. Questa figurazione di sapore naif esprime un profondo concetto ermetico. Cioè che gli egizi sapevano alchimizzare, e quindi intervenire sull’essenza della materia, per portarla a perfezione.

L’anima veniva raffigurata con il simbolo di un uccello a testa umana, il Ba, allusione al volo e al suono. L’ipotesi che si facevano dell’anima era astratta:l’anima immortale, essenza e “fonte” dell’essere terrestre era vibrazione di ultrasuoni. E veniva captata dal chakra della gola. Molte mummie hanno la bocca aperta, stimando gli egizi appunto che il ba abbandonasse il corpo attraverso la bocca.

Una leggenda spiegava questa seconda metamorfosi di Hathor. Thot e Shu placarono la crudele Sekmet. Calmatone il furore, si lasciò ammansire, cambiò volto e divenne la dolce Bast (Bastet), dalla maschera di gatta, dea dell’erotismo. Le venne dedicato un tempio a Denderah e prese il nome di cuore del cielo.  L’Egitto diventava il trono del Leone e del Cosmo tutto.

L’intervento di Thot nelle ultime metamorfosi della dea Hathor lascia supporre una effettiva partecipazione della sapienza egizia a questa grande opera di intercettazione dell’energia cosmica. Forse senza questo intervento non avrebbe potuto essere umanizzata. Come tanti altri, il nostro globo non avrebbe conosciuto apocalissi. Il raggio biologico allo stato primordiale non avrebbe provocato che mutazioni accelerate nelle specie più resistenti, ed estinzioni a catena nelle specie declinanti. Doveva essere addomesticato.

Quando Hathor divenne Bast-la-Gatta e si fuse con l’uomo, prese a irraggiare l’erotismo, altra forza divina cosmica, che sublimava la sessualità.

La mitologia della dea dai tre volti: Hathor, Sekmet e Bast, si riassumeva in un simbolismo dei colori. Celeste e non manifestata, portava un abito azzurro cielo. Trasformata in raggio biologico, si vestiva di verde, colore della linfa; questo raggio biologico venne denominato raggio verde. Poi si vestì di rosso colore del sangue (il raggio verde diviene rosso nei polmoni e nel cuore); ma anche colore della passione e della gelosia. Tra vitalità sanguigna e vitalità erotica, esiste una stretta parentela e gli egizi distinguevano a fatica Sekmet da Bast.

Essendo fusa con l’essenza della materia, la dea si fuse anche con il tellurismo, fluido infernale del sottosuolo e si vestì di nero. Ecco perché le statue di Sekmet sono state talvolta tagliate nella pietra nera. Giunta alla fine della metamorfosi, dopo aver preso possesso del globo, quando la signora del cielo sarà divenuta anche la signora degli inferi, i sacerdoti la soprannomineranno la dea dal volto nero. In india, è la stessa simbologia dei colori: Kali significa la Nera. Come i più attenti tra i Nostri Gentili lettori avranno notato ritornano anche qui le due principali colorazioni archetipiche delle quali abbiamo sommariamente trattato sempre nel De Magica Arte Liber Beta (Magnetisque Corpus Magi) Parte I Parte II e delle quali tratteremo più specificatamente nella prossima pubblicazione dedicata al simbolismo Ermetico.

La qualità tantrica è latente in ogni fase della metamorfosi dell’energia divina. Dietro ad Hathor si colloca perennemente la sua “fonte”, Ammon, l’Immutabile Mascolino.
                                                                   
Quando la grande regina Hatchepsut (XVIII dinastia) assunse il potere faraonico, regnò virilmente in accordo a questo mito: effettivamente era l’energia divina Ammon. L’immutabile Mascolino si manifestava e irraggiava dal suo psichismo. L’esempio è unico. Il suo immenso impero si estendeva dall’Africa all’Asia anteriore, alle isole greche. Il suo regno non fu devastato da guerre o da torbidi. Regnò con il volto pacificato di Bast. Il suo straordinario magnetismo attraeva eroticamente i principi vassalli siriani. Ne suggeva per osmosi l’eccesso di energia: tutti erano presi di lei.

Osserviamo che l’umanizzazione della dea non era stata incidentale o casuale. La sapienza, Thot, si incarnò in Hapuseneb, gran sacerdote che della regina fu il catalizzatore e il contrappeso. E’ l’eminenza grigia di Hatchepsut, con cui formò coppia tantrica ideale. Alla morte del gran sacerdote, scioltasi la coppia tantrica il mito della grande regina si sfaldò. Allora riprese vita la feoce Sekmet, incarnata da Thotmosis III che maturava la vocazione di monaco. E che fu uno dei due Napoleoni egizi, insieme a Ramsete II, oltre ad aver dato un contributo notevole a quella Magna confraternità che dall’Egitto emigrò nelle caverne del deserto dando vita a molte comunità teurgiche come quella degli esseni, e che parecchi secoli orsono trasportò l’Arcana sapienza in Napoli e Roma continuando a trasportare nei sottosuoli cavernosi di queste italiche città la Sapienza Egizia; ovviamente ci riferiamo alla Grande Confraternita Bianca di Thot mosis Iii (Latomorum Fraternitas).^. la quale eterna Sophia guida oggi come ieri gli Iniziati Osiridei ed Isiaci dell’Antico e Mistico Ordine Osirideo Egizio (Latomorum Fraternitas).^.

La migliore traduzione del termine tantra è dualità nell’unità. Ma esso può anche proiettarsi, con la sua bipolarità, nell’uomo solo o nella donna sola se questo essere ha realizzato in sé l’androginato. In ciò risiede il mistero più profondo del tantrismo.

Esiste in India una figurazione che rappresenta Shiva-Dio sotto forma di signore mezzo uomo e mezzo donna, con il nome di Ardhanarisvara. Questo Shiva androgino è uomo a destra e donna a sinistra . Non è ermafrodito e non riflette decadenza etnica, come i cambiamenti sesso attuali. Qui ritroviamo sempre la condizione simbolica per la quale l’Essere umano ha la parte destra del corpo collegata allo Spirito Maschile positivamente attivo generante fluidico proiettivo che dirige dall’emisfero sinistro del cervello; mentre la parte sinistra associata all’Anima negativamente passiva attraente fluidico attrattivo dirige dall’emisfero destro.

Secondo Noi, l’androgina mistica di Shiva si accompagna a una sorta di bilanciamento, talchè il polo maschile prevale talvolta sul polo femminile e viceversa. Sul piano metafisico delle forze, questo gioco della legge shivaita imprimerebbe la sua oscillazione ai destini del mondo. Vi sarebbero quindi nell’universo dei periodi di assenza o di concentrazione maschile, seguiti da periodi di presenza o di espansione femminile. L’assenza cosmica, concentrazione maschile in cui nessuna fecondazione si opera, coinciderebbe con una atonia delle civiltà dominanti e con la loro decadenza. I rinascimenti e i declini sono sempre stati fenomeni influenzati dal cosmo.
                                                               
Proprio come vi sono state culture caratterizzate dalla matrice matriarcale e da quella patriarcale che ci ricordano la massima con in Alto così in Basso, confermandoci che gli eventi umani e terreni sono collegati a doppio filo a quelli Astrali e Celesti.

Tra il VI secolo e il nostro anno zero, sono apparsi: in Cina Lao Tze; in India Buddha; in Iran Zoroastro; in Grecia Solone Socrate Platone e Pitagora; in Asia minore, Apollonio di Tyana ( che secondo alcuni sarebbe uno dei fondatori del cristianesimo); in Palestina Gesù (esistettero diversi personaggi che portarono questo nome, tutti riformatori dal destino tragico, come testimoniano gli annali rabbinici). Shiva, il seme divino avrebbe fecondato l’intero pianeta nel corso di questo semi millennio, durante il quale regnarono la pace e l’unità romane. In India, ringiovanita dagli Aria e stimolata dal buddhismo fioriva una letteratura influenzata dal sanscrito. In Cina Kung’Wu’Ti, un illetterato figlio di un contadino e soldato di fortuna fondava la dinastia degli Han. In America centrale e in Messico, si assisteva all’apogeo dei Maya.

Sarebbe ovviamente imprudente ricavare da queste coincidenze dei sistemi rigidi o dei calcoli di probabilità. L’astrosofia è scienza complessa; ecco a cosa ci riferivamo nel De Magica Arte Liber Beta (Magnetisque Cosprus Magi) Parte I, quando abbiamo aperto una parentesi letteraria in merito al significato Astrosfico dei simboli legati al sistema processionale. .^.

Ma alla fine dei periodi di Antonia o di decadenza, riappare sempre la Shakti: il raggio cosmico penetra allora schermi geocentrici delle ideologie, delle religioni trasgredite, delle scienze pervertite. Le tempeste cosmiche si ripercuotono a livello di sismi e di guerre sul tellurismo, energia non ancora ben conosciuta che vivifica la crosta terrestre. Poi, Shakti, femmina suscita in seno all’aither nuove fonti di ispirazione e Shiva sparge il suo seme attraverso di lei.

Se il dio nella sua femminilità agente si identifica piuttosto un flagello che non a una provvidenza, il fatto  non è mai negativo. Egli si accanisce sulle religioni spompate, sulle anime morte, sulle intelligenze sterilizzate e i cuori nostalgici che si parano a schermare l’avvenire: egli dissolve i demoni generati dalle passioni egoiste e dai falsi miti. Ogni volta la civiltà rinnova il patti con l’eredità spirituale la verità è stata data in principio. Nel XV secolo quando bruciavano ancora i roghi dell’inquisizione, l’Italia riscopre l’antichità greco-romana. Nel XIX secolo, mentre Napoleone forgia nel sangue un’anima all’Europa, Champollion matura la vocazione di decifrare i geroglifici: da quel momento, l’Europa assume a poco a poco coscienza di una Verità rimossa o repressa, più antica della Bibbia.

Un mito, sorta di drammaturgia cosmica si ripercuote perennemente lungo lo Zodiaco. E quanto più sarà intensa la pulsione per l’avvenire, tanto più acquisterà spessore la pulsione per il passato.

Ed è di questo che trattavamo quando in precedenti scritti come in Ordo ab Chao o Chao ab Ordo? Abbiamo più volte detto che secondo Noi l’entropia cosmica ed evoluzionistica del microcosmo uomo aumenta tanto si discosta dalla Fonte Primigenia Infinita ed Immutabile che ci ha generato; ecco a cosa alludevamo dicendo che tutto questo, riferito al Nostro presente storico individuale e collettivo, è già passato: Ricordate che questo E’ Stato, E’ e Sempre Sarà. °.°A^A.^.
                                                            
Il nostro tempo, più apocalittico di altre fini di civiltà, subisce non soltanto la morte di Dio ma anche il rientro sulla scena, anche se discreto, dell’Eterno Femminino. Dalla fine della seconda guerra mondiale che già si poneva sotto il segno di Kali per la metafisica del sangue, le degenerazione e l’impoverimento biologico ha esteso i suoi guasti tra i giovani generando per compensazione l’erotomania, l’ossessione del sesso. L’essere la cui vitalità sanguigna si deteriora sotto l’effetto della febbrile vita moderna, tenta disperatamente di tornare alla natura, prelevando in altri corpi la vitalità erotica. L’erotismo ringiovanisce l’organismo ma quando si corrompe o degenera produce l’invecchiamento anticipato. Noi  viviamo spiritualmente dell’apporto della filosofia Egizia, ma i giovani ritengono un esperienza non vissuta inutile se non del tutto falsa. E’ stato Socrate a trarre dai misteri lo yoga greco ma finendo per seppellirlo nella dialettica. Il ciclo aperto da Socrate continua con Jean-Paul Sartre. Quanto al cristianesimo ed al buddhismo, nati nella stessa epoca, agonizzano visibilmente. Oggi si riscontra ovunque l’azione corrosiva della dea. Che sterilizza la cultura e le arti; ma per contro l’archeologia d’avanguardia ritrova gli dei delle origini, i creatori della bi millenaria civiltà mondiale.
                                                                    
La via della sinistra mano della conoscenza, rimane un sentiero impervio per un manipolo di illuminati; la via della destra mano dell’azione rituale, reinterpretata come via dell’azione spassionata si realizza nel contempo, coniugandosi con le nuove istanze del culto personale, come via della devozione e diviene la strada maestra per la folla che brulica nel crepuscolo della Luce.
                                                      
                                                    
Con l’approvazione dell’Arcano Sinedrio dei Saggi, posti sempre al Grande Oriente Ermetico Egizio dei Figli di Seth con la benedizione di Chi occhio profano non Vede ma il Cui occhio Tutto Vede .^. I F.^. e le S.^. dell’Antico e Mistico Ordine Osirideo Egizio  A.°.G°.°D.°.G°.°U.°. (Latomorum Fraternitas) A^A   M.B.  .°.+°.°   Zenit di Roma (Templi Universi) Sapere, Potere, Osare, Tacere.^.  (Memento Audi Tacere).